
Nell’era del politically correct, anche pensare può diventare un reato. Ne è certo Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, educatore, saggista e opinionista, che torna in Sicilia per due serate, due conversazioni teatrali, come lui stesso ama definirle. Dopo il successo nella passata stagione teatrale, con Prendetevi la luna prima e Mordere il cielo dopo, prosegue il suo cammino tra le platee attente di giovani e non solo, analizzando il mondo e la società di oggi, schiacciati dai social e dall’avvento sempre più prepotente dell’intelligenza artificiale. Una nuova realtà che sarà analizzata, sviscerata e affrontata con il pubblico domani (21 agosto), lungo la scalinata della Cattedrale di Noto, e domenica, al Teatro Greco di Tindari. In entrambe le serate a partire dalle 21.
Il reato di pensare - così si intiola lo spettacolo - è un impercettibile filo spinato che inibisce la mente di chi ancora vorrebbe immaginare senza paura di pensare a ciò che sta pensando. «Finché si pensa, si parla e ci si indigna per quello che non va - dice Crepet -, c’è libertà. Ma credo che si possa anche migliorare. Non penso che tutto sia già stato scritto anche se c’è qualcuno che sta provando a scrivere per noi». Il riferimento è chiaro e va all’intelligenza artificiale e alla nuova versione di una delle piattaforme più in uso, che oggi consentono di scrivere testi accattivanti e coinvolgenti, con profondità letteraria e ritmo, sulla falsariga di grandi autori del passato. «Il reato di pensare è una sorta di ossimoro - spiega il sociologo -. Pensare al giorno d’oggi è quasi una sfida per come veniamo schiacciati dalle tante gabbie mentali. Anche il politically correct è una gabbia mentale. Al cinema, ad esempio, ci sono pochissimi capolavori che oggi troverebbero un produttore. E penso ad Arancia meccanica o a Lolita. Oggi basta una censura ed è finita. Ma l’arte offende sempre qualcuno». Dal teatro alla musica. «È molto difficile trovare qualcuno che osa. A Sanremo i testi sono molto politicamente corretti, c’è un’autocensura che è evidente. Una forma di censura autoindotta che permette un asservimento di massa. Non c’è nessuno che osa quella forza poetica di Bob Dylan».
Il linguaggio - ogni forma espressiva - è lo strumento più facile da controllare. Non il pensiero che rimane spesso celato, alimentando sospetti, paranoie, dubbi su fedeltà e obbedienza, disponibilità alla sudditanza, propensione al tradimento. Per questo l’immaginazione è sempre più ricca delle parole, quindi insidiosa e potenzialmente pericolosa. Sta avanzando l’idea, secondo Crepet, che le libertà debbano essere frammentate, limitate entro nuovi vocabolari, schemi. Addomesticare le parole, quindi il pensiero che le genera, porta alla normalizzazione che fa parte di una regola del nuovo marketing ideologico. In questa nuova realtà, c’è poi chi rifiuta di essere valutato. E Crepet ricorda gli studenti che lo scorso mese, durante le prove orali degli esami di maturità, si sono rifiutati di sostenere il colloquio. «Vorrei sapere cosa ne pensano i genitori - si chiede -, perché in un mondo in cui la filosofia digitale ha preso il sopravvento, dove tutti valutano tutto, da una foto su Instagram a una pizza in un nuovo locale, ci troviamo dei giovani che senza il minimo rispetto dei docenti che hanno davanti, si oppongono a un esame. E questa vicenda ha del surreale. Se manchi di rispetto ai docenti, mancherai di rispetto a chissà quanti».
E il collegamento con la pochezza dei sentimenti che affligge parte della nuova generazione, è dietro l’angolo. «Questa storia mi riporta ai tempi del 18 politico all’università, che ha messo su tante persone fallite e presuntuose, che pensavano di cavarsela col minimo sforzo. L’anticamera dell’inferno. Un atteggiamento che si paga anche nei sentimenti. Con la violenza di chi non accetta un no, di chi non sa cosa sia la sottrazione». Ma la colpa, secondo Crepet, va ricercata in chi questi ragazzi li cresce e li educa. «È colpa nostra, degli adulti, dei genitori. La capacità di far fronte è ciò che rende ognuno di noi diverso. Le esperienze bisogna farle, non ci si può sottrarre. Il reato di pensare - conclude - inciderà sulla reciprocità, così svanisce la contaminazione culturale, emotiva, relazionale. Si arriva a essere atterriti delle proprie idee, dall’idea e dalla necessità di esporle».

Scopri di più nell’edizione digitale
Per leggere tutto acquista il quotidiano o scarica la versione digitale.

Caricamento commenti
Commenta la notizia