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Il drone killer partito da Sigonella, le famiglie dei libici morti contro il comando italiano

La base di Sigonella

Il comandante italiano della base militare di Sigonella ha permesso l’attacco letale di un drone che, in violazione del diritto internazionale e del diritto interno italiano, colpì la Libia il 29 novembre del 2018: lo sostengono le famiglie delle vittime di quell’attacco, che hanno presentato una denuncia presso l’Ufficio del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa. La denuncia, sostenuta da Rete Italiana Pace e Disarmo, Reprieve e lo European Center for Constitutional and Human Rights, si rifersice all’attacco a Ubari, in Libia, in cui persero la vita «undici membri innocenti della comunità Tuareg».

«Il governo italiano - sostengono le ong - ha permesso al Comando USA per l’Africa (Africom) di usare la base di Sigonella per la sua cosiddetta guerra al terrorismo e per le operazioni di targeted-killing (uccisioni mirate) e per tale motivo la base siciliana gioca un ruolo vitale nel programma dei droni statunitensi in Nord Africa e nel Sahel». La presenza statunitense e le operazioni degli Stati Uniti a Sigonella, così come le responsabilità del comandante italiano, sono regolate dall’accordo tecnico USA-Italia del 2006. Secondo questo accordo, gli Stati Uniti sono obbligati a notificare alle autorità italiane tutte le attività significative degli Stati Uniti, escludendo solo le operazioni di routine. «Chiaramente, un’operazione condotta droni che implica l’uso di forza letale non è considerabile di routine», ha dichiarato Chantal Meloni, consulente legale di Ecchr, impegnata in un braccio di ferro al Tar con il ministero della Diefsa sulla segretezza o meno di quell’accordo. «Mentre Africom è direttamente responsabile di tale decisione - prodsegue Meloni - il Comandante italiano deve aver conosciuto e approvato l’operazione e può quindi essere ritenuto penalmente responsabile come complice per aver permesso un attacco letale illegale. Tale circostanza configurerebbe una violazione del diritto internazionale e del diritto alla vita». Il Comando Africom riconobbe di aver compiuto l’attacco, aggiungendo, però, che le persone uccise erano membri di al-Qaeda, un’accusa che la comunità nega categoricamente.

«Hanno ucciso delle persone innocenti», afferma Madogaz Musa Abdullah, uno dei denuncianti, che ha perso suo fratello Nasser nell’attacco. Nasser, insieme alla maggioranza delle persone uccise nell’attacco, era membro delle Forze Armate del governo libico di unità nazionale riconosciuto dall’Onu. «Hanno affermato che i nostri figli erano terroristi - aggiunge - e hanno messo fine alle loro vite senza alcuna prova. Vogliamo che il Governo italiano ci ascolti e che impedisca ad Africom di uccidere ancora la nostra gente. Chiediamo ad entrambi i governi di scusarsi e che il governo italiano apra un’indagine trasparente e chieda conto ai responsabili dell’autorizzazione dell’attacco». «E’ importante continuare le nostre azioni anche di natura legale, che spesso sono l’unica strada percorribile per arrivare ad un riconoscimento della verità e delle responsabilità, permettendo anche di gettare una maggiore luce su operazioni militari condotte non in contesti di guerra dichiarata», afferma Francesco Vignarca coordinatore delle campagne per la Rete Italiana Pace e Disarmo «Ciò è soprattutto cruciale per quanto riguarda le operazioni dei droni - sottolinea - strumenti sempre più rilevanti nelle attività militare odierne, anche in considerazione dell’intenzione dell’Italia di dotare di armamento i propri velivoli senza pilota».

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