Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Morte in caserma, la famiglia di Scieri: «Continueremo a batterci, vogliamo la verità»

Francesco Scieri, il fratello di Emanuele, parla con i giornalisti dopo il pronunciamento del gup di Pisa

«Delusi ma continueremo a batterci». Non nasconde un pizzico di amarezza Francesco Scieri, fratello di Emanuele, dopo la decisione del gup di Pisa che ha assolto in rito abbreviato tre dei cinque imputati (uno dall’accusa di omicidio volontario, gli altri due per favoreggiamento) e rinviato a giudizio in corte di assise gli altri due accusati di omicidio per la morte del paracadutista siracusano avvenuta nella caserma Gamerra di Pisa nell’agosto del 1999.

Il giudice ha fissato il processo per il prossimo aprile davanti alla Corte d’Assise. «Continueremo a lottare per la verità sulla morte di Emanuele», assicura Francesco, commentando a caldo la sentenza. Sua madre non era presente, è rimasta a Milano con le nipotine in attesa della decisione. «Il pronunciamento del gup - ha spiegato Scieri - sembra smontare anche le conclusioni della commissione parlamentare sul ruolo del presunto favoreggiamento dei due ufficiali. Ma resto convinto che loro, in questa vicenda, un ruolo lo abbiano avuto e, anzi, è inimmaginabile che non ce lo abbiano avuto. Ma ciò che fa più male è che i tre imputati per un fatto così grave» come l’uccisione del fratello «possano farla franca».

Dal canto suo l’avvocato Alessandra Furnari, legale della madre del parà, «prende atto della decisione» del giudice delle udienze preliminari. «Attendiamo il deposito delle motivazioni, entro 90 giorni, per le nostre valutazioni - aggiunge la penalista -. Panella e Zabara sono stati rinviati a giudizio, questo è un altro passo importante in questo lungo cammino verso la verità e la giustizia per una giovane vita spezzata e per la sua famiglia».

La sentenza, ha commentato Carlo Garozzo, presidente dell’associazione Giustizia per Lele, fondata dagli amici di Scieri, «ci lascia l’amaro in bocca ma siamo abituati agli schiaffi e le nostre guance sono rosse da anni per i colpi presi». Però, ha aggiunto, «oggi un tribunale finalmente suggella almeno un fatto incontrovertibile: Emanuele non era un folle suicida ma qualcuno lo ha ammazzato e ora un processo accerterà questa verità che per troppi anni hanno provato a negarci».

«Speravamo che potesse rispondere della sua morte - ha concluso - anche tutta la catena di comando, ma per ora così non è. Noi continueremo a batterci per dare giustizia a Lele».

Persone:

Caricamento commenti

Commenta la notizia