PALAZZOLO ACREIDE. Dopo una infinita serie di colline che in estate ricordano quelle provenzali bruciate dal sole dei quadri di Van Gogh, nell’estremità sud-orientale della Sicilia, l’altopiano ibleo, isola nell’isola, riserba grandi emozioni. Palazzolo Acreide ha sviluppato nei secoli un suo particolare prototipo di festa, un copione che viene puntualmente ripetuto ben quattro volte ogni estate: San Paolo il 29 giugno, San Sebastiano il 10 agosto, l’Addolorata la terza domenica di settembre e San Michele il 30 settembre.
In ciascuna delle quattro chiese le statue durante l’anno non vengono esposte ma, celate alla vista dei fedeli, attendono pazientemente il loro grande giorno dietro una tenda in un’apposita edicola in alto sull’altare.
La vigilia della festa il Santo fa la sua ‘sciuta ‘ra cammara’ (uscita dalla nicchia). Questa straordinaria e attesissima cerimonia è accompagnata da alte grida e invocazioni verso il Santo su cui come per il deus ex machina di tutte i culti soteriologici dell’antichità, si appuntano le speranze ma anche le aspettative dei poveri mortali. San Paolo è accolto con altissime grida («ma che siamo tutti muti, viva San Paolo!»).
Il San Paolo palazzolese è forse l’unico al mondo ad avere la spada rivolta verso l’alto. La festa è caratterizzata da ciò che Pitrè chiamò un’acceso «agonismo devoto».
Iniziano i giovanissimi ragazzi bisticciando scherzosamente per decidere chi debba portare per strada gli alti stendardi. Continuano gli adulti che in chiesa si prenotano il «posto spalla» annodando il loro fazzoletto nelle lunghe aste che porteranno la vara del Santo. Nonostante tale prenotazione, alle 13 del giorno successivo, al momento della spettacolare «sciuta» dalla chiesa non c’è abbastanza spazio per tutte le spalle, e alla fine di un breve tafferuglio alcuni dovranno accontentarsi della più piccola vara delle reliquie.
Da qualche anno il comitato preposto alla festa di San Paolo ha reintrodotto la tradizionale partecipazione degli animali che fino al 1949 venivano perfino fatti entrare in chiesa e costretti a inginocchiarsi.
La chiesa, ben consapevole dell’origine pagana di tale pratica, proibì questo cerimoniale e il celebre etnologo Antonino Uccello affermò di avere assistito a vere e proprie zuffe fra la forza pubblica e il clero da una parte e la gente non rassegnata ad abbandonare le sue abitudini dall’altra.
Adesso ci si limita a infiocchettare le bestie e a portarle fin davanti il sagrato della chiesa affinché siano benedette.
La «sciuta» più spettacolare è quella delle 13 del giorno successivo che è accompagnata non solo da vistosi giochi pirotecnici ma dal lancio di quintali di ‘nzareddi, strisce di carta multicolore.
Nelle settimane precedenti la festa migliaia di ‘nzareddi di carta sono pazientemente arrotolati a mano, incollati e infilati in tanti cannoncini che ricoprono a vari livelli la suggestiva facciata barocca della chiesa. Mentre la vara sta uscendo si sparano gli ‘nzareddi che a causa del peso del piccolo chiodo intorno al quale ognuno di essi è arrotolato, ricadono in giù ricoprendo letteralmente i portatori devoti e l’intera piazza.
Dopo la festa la gente riempirà interi sacchi con queste strisce di carta: i bambini ci giocheranno, ma anche ai grandi fa piacere portare un pezzo di festa a casa.
La processione di San Paolo che il 29 giugno apre alla grande la stagione delle feste palazzolesi era in passato caratterizzata dalla presenza dei cerauli cioè incantatori di serpenti. Tradizionalmente nati nella notte fra il 24 e il 25 gennaio, giorno della conversione di San Paolo, erano spesso mugnai e la natura li aveva contraddistinti con il disegno di un ragno visibile sotto la loro lingua. Pitrè descrive questi pittoreschi personaggi seminudi e ricoperti
da rettili da essi stessi catturati in campagna dopo averli attirati con il suono di un filo d’avena usato come primitiva zampogna.
Il loro nome infatti a quanto pare viene dal greco bizantino keraules (flauto) e il motivo del serpente deve essere considerato un’importante chiave di lettura dell’intera manifestazione. Il serpente, spesso attorcigliato alla sua spada, compare costantemente nell’iconografia tradizionale del Santo, considerato il primo ceraulo per essere miracolosamente rimasto illeso dal morso di una vipera mentre si trovava a Malta.
Da questo episodio riferito negli Atti degli Apostoli deriverebbe l’assenza di serpenti velenosi nell’isola di Malta.
Il serpente è modellato sulle cuddure (dal greco kollura) pani rotondi messi all’asta prima della sciuta delle 13 e gli stessi ‘nzareddi ricadono con un movimento particolare che ricorda quello del serpente.
La festa era in passato anche un modo per esorcizzare il pericolo che i serpenti rappresentavano per chi mieteva il grano proprio in quel periodo. Ricordano la mietitura anche le innumerevoli spiche di San Paolo, mazzetti di lavanda benedetta che i fedeli tengono in mano.
I fedeli di San Paolo vogliono offrire come dono votivo la loro sofferenza fisica: nessuno striscia più la lingua sul pavimento come nel passato, ma le donne in lunga teoria vanno a piedi scalzi (‘u viaggiu scausu) mentre gli uomini (a spadda nuda) continuano a sudare sotto la canicola trasportando il fercolo.
Al termine delle manifestazioni, è d’obbligo una visita alle invitanti pasticcerie palazzolesi.
Richiamano estimatori da ogni parte della Sicilia i dolci locali, in particolare le «ossa re muorti», i «facciuna » e i ciascuna, ripieni rispettivamente di noci e miele, mandorle e fichi secchi. Con tecniche di antica tradizione e genuine materie prime, nella zona si preparano anche ottimi formaggi, ricotta e soprattutto carni e salsicce, fresche o essiccate, dall'aroma forte e speziato di finocchio e peperoncino.
Vere prelibatezze da non perdere.
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