La crisi del Petrolchimico di Siracusa, aggravata dalla vicenda Lukoil, avrà effetti negativi anche sull'attività del porto di Augusta. Dal 5 dicembre scatterà l’embargo alle importazioni di greggio dalla Russia, l’unico al momento lavorato nelle raffinerie della Isab-Lukoil. Se alla società proprietaria dello stabilimento le banche non sbloccheranno le linee di credito per acquistare petrolio in altri paesi, la produzione si interromperà. Questo vuol dire che non arriveranno più navi petroliere nella rada di Augusta, che, di colpo, si troverebbe con profitti notevolmente ridotti. L’Autorità portuale della Sicilia orientale, che comprende i porti di Catania ed Augusta, ha trattato la questione nel corso della riunione del Comitato di gestione, riunitosi nella sede di Augusta per l’approvazione del bilancio previsionale per l’esercizio 2023. Nonostante l’obiettivo individuato dal presidente, Francesco Di Sarcina, sia quello di «concentrare ogni possibile risorsa verso lo sviluppo delle infrastrutture di Augusta e Catania», bisogna fare i conti con i problemi legati al Petrolchimico. Nel corso del suo intervento, Di Sarcina ha assicurato gli «sforzi economici che l’ente sosterrà per il potenziamento infrastrutturale» ma, al tempo stesso, li ha condizionati alle «evoluzioni delle entrate correnti, tenuto conto della complessa situazione geopolitica internazionale che coinvolge il distretto petrolchimico megarese, da cui l’Ente ricava i principali proventi». Dunque, se il nodo Lukoil non si sciogliesse uno dei porti più importanti italiani perderebbe risorse e competitività, nonostante la sua posizione geografica strategica, al centro del Mediterraneo, dove si sta giocando una partita geopolitica delicata per via della situazione nel Nord Africa, con Paesi con grosse criticità come Libia, Tunisia ed Egitto. Del ruolo fondamentale nel Mediterraneo ha parlato nei giorni scorsi a Siracusa durante un meeting internazionale di geopolitica l’ex ministro degli Esteri della Germania, Joseph Martin «Joschka» Fischer, per cui rafforzare i porti in quest’area significherebbe, per l’Europa, avere una posizione privilegiata non solo per le questioni del Nord Africa ma anche alla luce dell’instabilità di alcune potenze regionali, come l’Iran, e delle fibrillazioni tra Grecia e Turchia.