Si è concluso il braccio di ferro con Siracusa, che ha cercato in tutti i modi di impedire che il quadro di Caravaggio, il «Seppellimento di santa Lucia» partisse alla volta del Mart di Rovereto.
Adesso il Caravaggio di Siracusa dialoga con Alberto Burri e con il 'corpo' di Pier Paolo Pasolini. Si precisano così i contorni dell’operazione culturale messa a punto da Vittorio Sgarbi, presidente del museo trentino di arte contemporanea.
Nel 1608 l’artista, condannato a decapitazione e continuamente in fuga, evase da Malta e giunse a Siracusa. Qui realizzò il Seppellimento di Santa Lucia per l’altare maggiore della Basilica di Santa Lucia al Sepolcro, nel luogo dove, secondo la tradizione, la Santa fu martirizzata e sepolta.
«La scena - afferma la scheda della mostra - sembra collocata negli ambienti sotterranei e bui delle note latomie sottostanti la Chiesa, nelle quali si trova il sepolcro della martire. Si tratta di un Caravaggio ormai maturo, ossessionato dall’idea della decapitazione, maestro nella regia di composizioni articolate in dipinti sempre più silenti e spirituali. La sua forza espressiva emerge soprattutto dal rapporto tra personaggi e spazio scenografico, dalla tensione conferita dalla luce guizzante e dall’uso di un linguaggio fortemente realista. Nelle mura sullo sfondo della scena, che occupano quasi i due terzi del dipinto senza nessuna figura, si percepisce il senso della forma che si sgretola, della forma che diventa 'non-forma', nella quale lo spettatore contemporaneo può individuare stilemi espressivi accostabili all’Informale».
Da qui comincia il confronto con un grande maestro dell’Informale italiano: Alberto Burri. In mostra vi sono un monumentale Ferro, proveniente dalla Galleria Nazionale, una Plastica appartenente a una collezione privata e tre significative opere dalle Collezioni del Mart: Rosso e nero, Sacco e Sacco combustione. I due artisti hanno
lavorato in Sicilia e l’hanno amata.
«Dalla ferita sulla gola della Santa alla 'ferita' del Ferro di Burri, fino alla ferita del territorio siciliano. Il Grande Cretto di Gibellina, un sudario di cemento posto sulle macerie della città distrutta dal terremoto nel 1968, nelle fotografie di Massimo Siragusa è vera e propria topografia del trauma. In mostra cinque immagini, quattro delle quali scattate in notturna, nelle quali i riferimenti spaziali si smarriscono e ciò che resta della tragedia è monumento civile».
Michelangelo Merisi 'parla', poi, con «I naufraghi» di Cagnaccio di San Pietro, anche questo appartenente al Mart, che, come il Seppellimento, richiama nuovamente il tema della morte e del cadavere disteso ai piedi di un gruppo di persone. «L'occhio del visitatore, però - spiega Sgarbi - coglie anche un altro attuale e doloroso sottotesto: quello del naufragio, genocidio contemporaneo che attraversa i continenti e si riversa sulle coste della Sicilia, delle Pelagie e nelle acque del Mediterraneo».
L’ultima corrispondenza proposta dalla mostra è quella tra Caravaggio e l’intellettuale friulano, autore degli Scritti corsari. «Come hanno postulato numerosi studi e dibattiti - sottolinea Sgarbi - il realismo caravaggesco si incarna nel Novecento nella figura di Pier Paolo Pasolini. Affascinato dalla figura di Caravaggio fin dai suoi studi giovanili con Roberto Longhi, il poeta condivide con il maestro seicentesco l’attenzione per i tipi umani e l’approccio crudo e realista che caratterizzano le descrizioni delle borgate. Le affinità tra i due emergono anche nelle rispettive vite, segnate da scandali, cesure, eresie, problemi con la giustizia e da morti violente e premature. Al Mart il parallelismo viene introdotto dalle opere di Nicola Verlato.
Tra riferimenti biblici e rimandi all’arte classica, l’artista presenta tre lavori, di cui uno realizzato appositamente per questa esposizione. Già legato al Mart, che conserva una sua opera, Verlato da anni raffigura Pasolini quale icona contemporanea alla quale vorrebbe dedicare un vero e proprio mausoleo».
Infine, il martirio, da quello della Santa a quello di Pasolini. In mostra trovano collocazione alcune fotografie del cadavere del poeta, provenienti dai fascicoli giudiziari del procedimento penale. Il percorso «si conclude con cinque indimenticabili ritratti fotografici di Pasolini, realizzati da un giovane Dino Pedriali un paio di settimane prima dell’omicidio. Le fotografie raccontano un Pasolini privato, fotografato nel suo studio di Sabaudia e nella seconda casa di Chia, dove si era ritirato negli ultimi anni. Realizzate per illustrare Petrolio, che fu pubblicato postumo, vennero rese pubbliche solo 35 anni dopo la morte».
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