Siracusa

Sabato 23 Novembre 2024

"Le troiane" debuttano al Teatro Greco di Siracusa tra botti spaventosi e alberi morti

Tre botti spaventosi e poi il silenzio, il nulla, e dalla foresta di alberi morti, vengono fuori le sopravvissute, le troiane, al debutto ieri sera al Teatro Greco di Siracusa, per il 55° ciclo di rappresentazioni classiche. Ancora Euripide: «Le troiane». La guerra è appena finita e Troia brucia, è sfregiata, ridotta in cenere. Non ci sono più uomini che possano difenderla e «il terrore scuote il petto delle troiane». Altissima è la sofferenza, e la paura più grande riguarda il futuro, verranno sorteggiate e da regine, mogli e figlie di re, andranno schiave o amanti dei capi greci. Euripide mette in scena, con infinito coraggio, la tracotanza dei vincitori; la tragedia è del 415, e va in scena solo dopo qualche mese il sacco di Melo, dove l’esercito greco aveva appunto tradito, distrutto un possibile alleato, e assegnato le donne come schiave. Un esempio fulgido della autorevolezza del genio greco e della libertà espressiva di quel teatro. Eppure Euripide condanna senza mezzi termini la colpevole arroganza dei greci, offesa agli uomini e agli dei.  Lo spettacolo è lineare, la traduzione di Alessandro Grilli è di grande pregio. I costumi di Marcella Salvo riproducono grigie tute mimetiche, senza distinzioni di ruoli, e il colore è inesistente, fino a due minuti prima della fine, quando le troiane regalano i loro abiti per la tomba del piccolo Astianatte, buttato giù dalle mura di Troia, solo perché figlio di Ettore, e restano con una tunica rossa.  La regia di Murie Mayette non riesce ad esprimere fino in fondo quel pathos che la tragedia possiede, non ci si commuove davanti al dolore delle donne, se non per la accorata recitazione di Maddalena Crippa, innanzitutto, bravissima Ecuba, insieme alla Elena altezzosa di Viola Graziosi, all’Andromaca di Elena Arvigo, e all’efficace Menelao di Graziano Piazza. Unico momento veramente teatrale è il finale, quando le torce accese incendiano Troia. Paolo Rossi è Taltibio, l’araldo, cinico, che fatica però a restare impassibile di fronte agli orrori, è bravo, ma è se stesso, è Paolo Rossi. Il piccolo Riccardo Scalia è Astianatte e riscuote applausi a scena aperta. La scena di Stefano Boeri è davvero drammatica, è un vero bosco morto proveniente dalla Carnia, gli alberi distrutti dalla furia del vento alcuni mesi fa. Le musiche di Cyril Giroux sono gradevoli, tanto quanto fuori contesto, ma il coro le esegue con maestria. Si replica fino al 23 giugno.

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