Gli atti di nonnismo «non sono in sé ricollegabili al rapporto gerarchico, così come al servizio o al rispetto della disciplina militare», anche se avvengono in una caserma. E in particolare nel caso della morte del parà Emanuele Scieri, nella caserma «Gamerra» di Pisa nel settembre 1999, non vi era alcun «rapporto gerarchico-disciplinare» tra gli autori della condotta e la vittima: non erano impegnati in attività di servizio e si trovavano in caserma in abiti civili. Pertanto il reato da contestare è l’omicidio volontario, non un reato militare (violenza contro inferiore), e dovrà occuparsene la magistratura ordinaria. Così la Cassazione motiva la decisione di affidare la competenza al giudice ordinario, dopo aver vagliato gli atti delle due inchieste, quella militare e quella della procura di Pisa, e comparato quanto previsto dal codice penale e da quello militare. Per la morte di Scieri erano state aperte due inchieste, una presso la procura di Pisa, l’altra dalla magistratura militare per il reato di «violenza contro inferiore», che nel caso di omicidio applica comunque la stesse pene stabilite dal codice penale. Nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 23 febbraio, ha disposto la competenza del Gup di Pisa, la prima sezione penale della Cassazione delinea quali confini applicare alla pratica del "nonnismo». I giudici spiegano che le «vessatorie condizioni di integrazione» imposte alle reclute sono estranee alle ragioni di servizio e alla gerarchia militare: quello che conta è piuttosto "l'azianità» di appartenenza a un gruppo. Nel caso di Scieri, la Cassazione ha valutato i fatti «estranei al servizio e alla disciplina militare», ritenendo che non vi fossero i presupposti per il reato contestato dalla procura militare. La Cassazione rileva che «vi è piena concordanza nella descrizione delle accuse nelle diverse sedi» sulla base degli accertamenti medico-legali, «che vedeva gli autori del fatto fiaccare la resistenza di Scieri tramite violenti colpi, mentre egli saliva, in condizioni di insostenibile stress, la scala della torre di prosciugamento dei paracadute». Il parà precipitò al suolo da 5 metri, riportando lesioni gravissime. La procura militare contestava ai commilitoni anche la violazione dello specifico dovere di comportamento militare di chiedere soccorso. Ma a questo proposito la Cassazione cita una conulenza secondo la quale «la morte è sopravvenuta istantaneamente o quasi».