"La complessa istruttoria dibattimentale evidenzia che Sai 8 risparmiava solo sulle spese di effettiva gestione degli impianti ma parallelamente elargiva molti milioni di euro ai suoi stessi soci di maggioranza o a studi professionali strettamente legati". È uno stralcio delle motivazioni della sentenza pronunciata dal giudice monocratico Carla Frau, al termine del processo ai vertici di Sai 8 in merito allo sversamento di reflui non trattati dal depuratore di contrada Canalicchio nelle acque del porto Grande. Il giudice ha condannato a sei anni e 6 mesi di reclusione Marzio Ferraglio, nella qualità di amministratore delegato della Sai 8, la società che gestiva il depuratore; 3 anni per Salvatore Torrisi, direttore generale gestioni Reti ed Impianti e di co-amministratore delegato; 2 anni e 6 mesi per Alessandro Aiello, responsabile delle Infrastrutture. Sono stati assolti Riccardo Lo Monaco, presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante della Sai 8, Gianpiero Pappalardo, responsabile del Coordinamento del servizio gestioni e Rosario Fiore, responsabile della manutenzione del depuratore. "L'ampia istruttoria dibattimentale ha dimostrato - scrive il giudice - che i punti del contratto rimanevano volutamente inattuati, in quanto sulla gestione ordinaria non si investiva ed i lavori straordinari non venivano eseguiti. I vertici societari erano ben consapevoli che tale situazione determinava uno sversamento di acque non depurate". In relazione al capitolo delle spese, il giudice ha evidenziato l'esistenza di capitali in nero. "L'indagine dimostrava - si legge nelle motivazioni della sentenza - da un lato che per l'effettiva gestione venivano spese somme assolutamente irrisorie. Parallelamente, però tali spese venivano decuplicate nelle dichiarazioni e nei bilanci, sì che tutto il differenziale tra costi effettivi e costi dichiarati andava a costituire un importante “nero” da gestire in libertà. Ma soprattutto, a fronte di spese di effettive gestione minime, nei costi venivano invece inserite delle voci “studi”, “consulenze”, “spese legali” e simili per milioni e milioni di euro. Questo dimostra che la cattiva gestione del depuratore non era dovuta a difficoltà economiche di impresa ma a precise scelte di politica di spesa. Il carattere fraudolento di tali politiche emergeva nel procedimento parallelo relativo alla bancarotta fraudolenta di Sai 8". La notizia completa nel Giornale di Sicilia in edicola