"Non ce l’ho certo con lo Stato noi abbiamo sempre avuto fiducia nello Stato, mio figlio è un poliziotto, ma vorremmo sapere chi è stato, chi ha ucciso mio padre e perchè". Lo chiede Paola Scibilia, 59 anni figlia di Giuseppe, una delle due persone uccise il 2 dicembre del 1968, durante uno sciopero generale a sostegno della vertenza salariale dei braccianti agricoli di Avola, in provincia di Siracusa. Quel giorno, la polizia sparò sui manifestanti. La donna, dal quotidiano "La Stampa", invoca giustizia per il padre che, quando morì, aveva 47 anni e tre figli da crescere, e per l’altra persona uccisa, Angelo Sigona, 29 anni. Oltre ai due morti vi furono altri 48 feriti, cinque in maniera grave. Per quelli che sono passati alla storia come "i fatti di Avola" non c'è mai stato un processo, non è mai stato individuato un colpevole. Avola domani si prepara a commemorare i cinquant'anni da quei fatti in seguito ai quali vi fu l’approvazione dello Statuto dei lavoratori e della legge sul disarmo delle forze dell’ordine durante scioperi e manifestazioni. Quel lunedì 2 dicembre di 50 anni fa Avola si era fermata. Da una decina di giorni i braccianti agricoli della zona sud della provincia di Siracusa, dove si coltivavano e si coltivano mandorle e olive, chiedevano agli agrari di equiparare la loro paga giornaliera di 3110 lire e l’orario di lavoro a quelli dei lavoratori della parte nord del Siracusano, dove si producono agrumi. Un gruppo di manifestanti bloccò il transito sulla statale 115 alla periferia del paese, in contrada Chiusa di Carlo, lì dove ora c'è l'ospedale di Avola e dove un cippo e una lapide ricordano cosa accadde. C'era l’ordine di sgomberare. Dopo venticinque minuti di fuoco restarono sul terreno i due morti, Sigona e Scibilia, e 48 feriti, tra cui i più gravi sono cinque: Salvatore Agostino, detto Sebastiano, Giuseppe Buscemi, Giorgio Garofalo, Paolo Caldarella, Antonino Gianò. Sul terreno, disseminato di pietre lanciate dai manifestanti per difendersi, verranno raccolti oltre due chili di bossoli. Sdegno e rabbia attraversano tutto il Paese e Avola diventa un simbolo nella lotta dei lavoratori per il riconoscimento dei diritti e delle libertà sindacali.