SIRACUSA. L’ombra di «Cosa nostra» aleggia sull’incendio divampato nell’area dei «Calafatari» che ha divorato sette imbarcazioni. Le indagini, che sono condotte dai carabinieri della stazione di Ortigia e coordinate dalla Procura, potrebbero finire, nelle prossime ore, nelle mani dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catania, che si occupano di attività legate alla criminalità organizzata in città ed in provincia. Che possa trattarsi di un tentativo di intimidazione del racket delle estorsioni è un’eventualità presa in grande considerazione dai militari che, comunque, hanno già ascoltato i proprietari dell’area ma non sarebbero emerse, almeno così trapela dalle fonti investigative, delle indicazioni importanti. Insomma, non ci sarebbero stati dei ”segnali” prima di quell’inferno che ha polverizzato le imbarcazioni, 4 delle quali sistemate nell’area nella disponibilità del maestro d’ascia, Angelo Occaso, il resto nello spazio di Antonio Moscuzza, specializzato nel rimessaggio dei natanti. Ciò che i carabinieri, al comando del maresciallo Santo Parisi, intendono comprendere è l’obiettivo degli autori dell’avvertimento, cioè se il piano era di intimidire entrambi gli imprenditori oppure l’idea originaria era di lasciare un messaggio ad uno dei due. Un interrogativo difficile da risolvere per gli inquirenti che si appelleranno alle competenze dei vigili del fuoco del comando provinciale: saranno compiute delle perizie il cui esito si conoscerà nei prossimi giorni anche se qualcosa trapela già. Forse, le fiamme si sono scatenate nella zona del maestro d’ascia, per poi propagarsi velocemente grazie all’azione del vento che ha spinto parecchio l’incendio. È una ipotesi ma per confermarla serviranno degli elementi molto solidi, di certo il racconto fornito da alcuni testimoni darebbe molto conforto alle tesi degli inquirenti. ALTRE NOTIZIE NEL GIORNALE DI SICILIA IN EDICOLA