NOTO. Chiude, sbaracca, va via. Il Museo delle Carte, il contenitore culturale dove sono esposte memorie di ogni sapere che raccontano la storia della città - e non solo - a partire dal Cinquecento e fino alla metà del secolo scorso, lascia il suo originario sito, l'ex Monastero di santa Chiara di corso Vittorio Emanuele, in pieno centro storico. A cinque anni dalla sua apertura la galleria del passato, che conta 24 sezioni espositive (migliaia i libri esposti, stampe d'arte e testi scolastici), ora ha il suo portone centrale sbarrato. Lo sfratto è stato decretato dal Comune, proprietario dell'immobile, che rivuole la disponibilità degli ambienti, destinati ad accogliere la sezione archeologica del museo civico.
A rigirare tra le mani quella lettera raccomandata è l'ideatore del Museo delle Carte, l'architetto Pietro Paolo Giannone, che in più di trent'anni di attività, animato dall'esclusivo amore per la sua città, ha raccolto in antiche case disabitate e in attesa di un restauro, ma anche nelle discariche, migliaia di libri e reperti cartacei, alcuni dei quali molto preziosi. "Entro pochi giorni dovrò tirare fuori questo tesoro", dice con grande amarezza. "Sapevo di dover lasciare gli ambienti - aggiunge -, ero però sereno in quanto mi erano stati assicurati dall'allora assessore alla Cultura Costanza Messina due locali della biblioteca comunale di palazzo Nicolaci. L'attuale assessore alla Cultura ha però preferito destinare quegli spazi a eventi culturali come la presentazione di libri. Così, in assenza di nuove determinazioni, non mi rimane altro che trasferire documenti e mobilia in ambienti che dovrò prendere in affitto". Nelle bacheche sono custoditi, tra gli altri, il voluminoso manoscritto di ricette culinarie appartenente a una famiglia nobiliare di Noto, il De Rebus Netinis del 1593 di Vincenzo Littara, dove è annotata la storia dell'epoca della Città Ingegnosa e la Letteratura popolare di Noto, testo del 1875 di Corrado Avolio. E in un angolo della sezione viaggi c'è un'antica stampa che immortala una locomotiva a vapore lungo un tratto della prima linea ferroviaria costruita in Italia - era il 1839 -, tra Napoli e Portici.
Più di diecimila visitatori, tra scolaresche, studiosi e semplici curiosi, in appena quattro anni e mezzo dall'apertura. Quel museo che racconta del sapere ora non ha destinazioni. E a quanti chiedono all'architetto la data della riapertura, lui sorridendo risponde: "Chiedetelo al sindaco". Già, a chi se non a lui? "Per il momento la priorità è il museo archeologico - dice Bonfanti -. Troveremo un'area anche per le carte".