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La storia di Noto raccontata da due detenuti

Due detenuti che varcano il portone d'ingresso dell'ex convento di Sant'Antonio da Padova (foto Rosana)

La storia di Noto e delle famiglie nobiliari che in pieno Settecento la vollero grande sul Colle Meti, raccontata, tra gli altri, da due ospiti della casa di reclusione di via Garibaldi. La voce narrante speciale è quella di due reclusi, in veste di volontari, che per l'occasione beneficiano di un permesso per svolgere la preziosa attività di guide.

Nei pomeriggi dal lunedì al venerdì  dalle 16 alle 20, e il sabato, la domenica e nei festivi anche dalle 10 alle 13, i due volontari si spostano, seppure di pochi metri, dall'antico carcere borbonico per raggiungere l'ex convento di sant'Antonio da Padova, dove - all'interno degli artistici ambienti dell'odierno complesso musicale del barocco -, è allestita la mostra «I mecenati del barocco».

«È questo il titolo dell'esposizione a ingresso gratuito - spiega il sindaco Corrado Bonfanti - proposta dalla cooperativa sociale Tempora onlus e dall'associazione guide turistiche  Noto, con l'indispensabile concorso di due volontari della casa di reclusione. Il progetto, nato per volontà dei responsabili della cooperativa Tempora, Alfonso La Pira e Sebastiano Adernò, è stato senza indugio condiviso dall'esecutivo municipale e dall'amministrazione della casa di reclusione.

«Si tratta di un progetto in fase sperimentale - aggiunge Bonfanti - che, partito ad agosto, si concluderà il prossimo 31 ottobre, ma che è soggetto a rinnovo da parte dell'amministrazione penitenziaria». Dall'antica Noto, distrutta dal terremoto dell'11 gennaio 1693, all'attuale città: un'intensa pagina del Settecento con la classe nobiliare dell'epoca che rivive nell'album dei ricordi.

Le sale dell'ex convento, a conclusione degli interventi di restauro guidati dalla Soprintendenza ai Beni culturali e ambientali, oggi accolgono specifiche e tematiche sezioni che illustrano la storia delle famiglie nobiliari. Ed è proprio questo il settore di operatività dei due ospiti del vecchio carcere borbonico, pronti a spiegare ai visitatori del museo interventi e sostegni (soprattutto economici) messi in atto dai mecenati del barocco.

Un lungo corridoio che conduce a diversi ambienti per descrivere gli aspetti principali della ricostruzione, dalla realizzazione dei palazzi alla storia delle famiglie nobiliari. Trentaquattro i pannelli espositivi, di cui ventotto riguardanti le famiglie aristocratiche dell'antica Netum, chiamati a narrare la storia della ricostruita Noto, risorta dalle macerie, seppure lontano dalla distrutta città, più sontuosa e superba. Un racconto nel racconto; proprio così, perché lo stesso ex convento di sant'Antonino da Padova ha una sua intima e ricca storia.

È tra le più antiche costruzioni della città e, nel tempo, ha avuto diverse destinazioni: per oltre un secolo è stata la sede dei frati minori osservanti riformisti; poi, con la soppressione di molti ordini religiosi, l'edificio, con l'unità d'Italia, fu destinato a distretto militare, comunemente chiamato «Cassonello». Per un breve periodo, durante la seconda guerra mondiale, l'imponente edificio ha ospitato l'ospedale psichiatrico, e infine, a metà anni Cinquanta del secolo scorso e fino al 1977 è divenuto casa di accoglienza per orfani retta dai Padri Concezionisti.

Poi il totale abbandono, fino a qualche anno fa. Il museo, unico nella storia della città, è nato dal progetto scientifico e dall’opera di coordinamento dell'ingegnere Corrado Fianchino e propone, attraverso le tavole illustrative, anche la storia, la cultura e l’economia delle nobili famiglie che nel Settecento contribuirono alla realizzazione della «città ideale».

Uno spaccato della Noto del passato con pannelli espositivi che rievocano l’araldica, i palazzi con i dipinti, la cultura e l'economia, le caratteristiche dei feudi, i reperti archeologici, le monete e gli incunaboli delle famiglie Landolina, Di Lorenzo, Nicolaci, Rau, Impellizzeri, Trigona e Astuto.

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