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Corruzione e toghe a Siracusa, i pm: "Centomila euro il prezzo per il depistaggio"

SIRACUSA. Il Nucleo di polizia tributaria della Gdf di Milano ha accertato, al momento, che il presunto "prezzo" dell’attività di depistaggio per condizionare le inchieste milanesi Eni-Nigeria ed Eni-Algeria, attraverso le denunce a Trani e Siracusa di un complotto inesistente contro l'ad Claudio Descalzi, sarebbe stato di 100mila euro.

Ovvero i soldi che Massimo Gaboardi, colui che rese false dichiarazioni all’ex pm di Siracusa Giancarlo Longo, arrestato due giorni fa, avrebbe ricevuto da Alessandro Ferraro, collaboratore dell’avvocato Pietro Amara e come lui arrestato nell’inchiesta congiunta Roma-Messina. Come emerso dall’inchiesta del procuratore aggiunto di Milano Laura Pedio, che vede indagato anche Massimo Mantovani, ex capo ufficio legale e dirigente Eni, colui che avrebbe dato «indicazioni» ad Amara per il depistaggio, Gaboardi avrebbe ricevuto i soldi dalla fine del 2014 in assegni e bonifici. Altre analisi sono in corso sui conti di Ferraro. E ci saranno riunioni di coordinamento tra i pm di Milano, Roma e Messina.

Stando agli accertamenti della Gdf, Gaboardi, un tecnico-progettista milanese che ha lavorato da esterno anche per Eni, per le sue denunce a Siracusa sul complotto contro Descalzi (imputato nel caso Eni-Nigeria) rivelatosi poi inesistente, avrebbe ricevuto dal "factotum" di Amara 100mila euro in assegni e bonifici, anche su conti di suo cognato. Tutti passaggi di denaro "tracciati" e in piccole tranche da 2-3 mila euro dalla fine del 2014, quando Gaboardi e Ferraro si conobbero, e più costanti nei giorni delle dichiarazioni rese da Gaboardi al pm Longo, arrestato nell’inchiesta delle Procure Messina-Roma.  Le analisi della Gdf sul presunto "prezzo" del depistaggio, però, vanno avanti e gli inquirenti milanesi hanno anche mandato inviato parte degli atti a Messina.

Per la Procura, poi, gli «esiti» delle audizioni come testi di Carlo Federico Grosso e Mario Cristiano Maspero, avvocati dell’Eni, hanno fornito «elementi utili per l’identificazione di Mantovani quale manager di Eni implicato nell’attività di depistaggio». E tra gli elementi di prova ci sarebbe anche un "incrocio» di telefonate e messaggi tra Maspero, Amara e Grosso.

Lo stesso Amara, «al fine di rassicurare Maspero, gli aveva scritto - spiega la Procura negli atti - per ben due volte che Mantovani (Max) era a conoscenza di tutto». Al centro delle conversazioni ci sarebbe stata anche una email dell’ex manager Eni, Vincenzo Armanna, imputato nel caso Eni-Nigeria, nella quale quest’ultimo si lamentava che un suo ex legale avrebbe fatto il 'giocò dei pm di Milano titolari dell’inchiesta sulla presunta corruzione internazionale. Mail che venne anche depositata nel processo milanese dagli stessi legali di Eni.

Secondo la Procura, infine, malgrado non fosse più capo dell’ufficio legale Mantovani «ha continuato a seguire, in forza alla delega ricevuta dall’amministratore, i processi penali instaurati» a Milano «nei quali lo stesso ad Descalzi insieme ad altri apicali del gruppo sono imputati».

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