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A Siracusa "Fedra" di Seneca, Inda: nel 2017 in scena Eschilo ed Euripide

SIRACUSA. Prima che inizi «Fedra» di Seneca, ad annunciare la prossima stagione di spettacoli al Teatro Greco di Siracusa è il commissario straordinario dell'Inda, Pier Francesco Pinelli. I titoli del 2017 ruoteranno attorno al tema «Il teatro e la città»: la commedia «Le Rane» di Aristofane e due tragedie: «I sette contro Tebe» di Eschilo e «Le fenicie» di Euripide; argomento, in entrambe, la città di Tebe e il suo destino.

Quel forte legame tra il teatro e la polis che esisteva nell'Atene del V secolo a.C. si ripete nella Siracusa dei nostri giorni, che l'anno venturo festeggia i 2750 anni di esistenza. Poi, nel silenzio, ha inizio la tragedia di Seneca. La vicenda della regina ateniese innamorata del figliastro si svolge su una pedana bianca con sullo sfondo una intricata foresta lignea (scena di Roberto Crea), che sulla sinistra rappresenta il mondo silvestre popolato da uomini bestia al comando di Ippolito, che si esprimono al ritmo dei tamburi, secondo un rituale primordiale e ferino.

A destra, invece, il palazzo di una Fedra vittima del proprio rango (all'inizio indossa un mantello con un lunghissimo strascico istoriato, così pesante da impedirle i movimenti), che, alternandosi a Ippolito (una variante al testo originale di Seneca, introdotta dal regista Carlo Cerciello), pronuncia il suo lamento. Mentre Ippolito vive soltanto per cacciare e combattere, Fedra vive nel panico di ripercorrere il cammino della madre, preda di un «amore mostruoso», essendosi accoppiata a un toro. Ippolito invoca Diana, Fedra si affida a Venere.

In questa tragedia moderna ed essenziale, in cui il sangue finisce col bagnare ogni cosa, la protagonista, vittima di una passione violenta quanto inutile (Ippolito odia le donne e ha scelto di vivere libero nella natura, rinunciando al potere e alla ricchezza), è dilaniata dal senso di colpa, che la rende folle e infine la condurrà al suicidio. Non prima però di aver denunciato al marito Teseo, tornato dall'Ade, il falso stupro subito da Ippolito. Una vendetta mostruosa che provocherà la maledizione del padre sul figlio, la morte del ragazzo, l'orrore misto a rimorso di un Teseo solo e disperato. Tragedia cupa, truce, a tratti horror, non sempre lineare drammaturgicamente.

Le musiche (strumenti registrati e canzoni dal vivo affidate al coro) di Paolo Coletta, molto presenti in tutto lo spettacolo, sono forse più adatte a una fiction che a una tragedia latina. I costumi, di Alessandro Ciammarughi, sono preziosi, di buona fattura. Dalla regia sobria emergono il momento del bacio strappato a Ippolito da Fedra e il ritorno di Teseo dagli inferi, un controluce con il buio degli abissi che finalmente si squarcia. Tra gli attori principali (Imma Villa, Fedra, Fausto Russo Alesi, Ippolito e Teseo) si distingue la Nutrice di Bruna Rossi. Applausi per tutti. Repliche fino a domenica.

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