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Il rogo ai «Calafatari» a Siracusa: esclusa la pista del racket

Gli investigatori hanno puntato l’attenzione sull’imbarcazione da cui è divampato l’incendio: i proprietari potrebbero essere il vero obiettivo dell’avvertimento

SIRACUSA. Svolta nell’inchiesta della Procura e dei carabinieri sull’incendio scoppiato poco più di un mese fa ai Calafatari. Le perizie tecniche, compiute nelle ore successive al rogo, capace di divorare sette imbarcazioni, avrebbero svelato che il focolaio ha avuto origine da uno di questi natanti. Ma l’aspetto più saliente è che nell’attentato non sembrerebbe esserci la firma del racket delle estorsioni, come in primo momento si era ipotizzato. Insomma, non ci sarebbe nessuna richiesta di pizzo ai proprietari dell’area dilaniata dalle fiamme, il maestro d’ascia Angelo Occaso e l’imprenditore Antonio Moscuzza, specializzato nel rimessaggio delle barche.

Il vero obiettivo, secondo l’ipotesi investigativa, sarebbe stato ostacolare i piani dei proprietari di quella barca, che avrebbero anche deciso di iniziare un’attività economica legata al trasporto via mare dei turisti. Il lavoro di restyling era quasi completato e quel natante avrebbe potuto solcare il mare nello spazio di poche settimane, giusto in tempo per prepararsi alla stagione calda. Solo che quel progetto imprenditoriale potrebbe essere risultato indigesto ma, per il momento, né i magistrati né i carabinieri hanno delle certezze sugli esecutori e soprattutto sui possibili mandanti. In effetti, una buona carta gli inquirenti, coordinati dal capo della Procura, Francesco Paolo Giordano ed il sostituto, Caterina Aloisi, ce l’hanno: le immagini delle telecamere di sicurezza puntate sull’area dei Calafatari che hanno ripreso alcune persone sospette nelle ore precedenti allo scoppio del rogo, di proporzioni assai devastanti al punto da costringere i vigili del fuoco del comando provinciale di via Augusto von Platen agli straordinari.

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