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Noto, la decorazione del Duomo: sui colori esplode una polemica

Fa discutere la sostituzione del pittore incaricato degli affreschi. Il responsabile unico: «Tutto in regola». L’ex parroco: «Tradito il progetto»: Sgarbi: «Le disparità possono andare via con le luci»

NOTO. La Cattedrale di Noto sette anni dopo: polemica sulle opere pittoriche. È una questione di contrasti, anzitutto cromatici, quella che si è aperta all’interno del tempio ricostruito dopo il crollo del ’96. La solleva don Salvatore Bellomia, già parroco della Cattedrale, tra i primi a vedere l’edificio venire giù la notte del crollo. E a chi fa notare il potenziale dissidio tra gli esuberanti colori dell’abside di Bruno D’Arcevia e quelli meno accesi della cupola di Supereco, a indicare da tempo la strada da seguire è Vittorio Sgarbi, che suggerisce di usare «una serie di luci per accentuare gli apostoli e annullare la leggera disparità». Era l’agosto 2006, quando monsignor Carlo Chenis, all’epoca segretario della Pontificia commissione per i Beni culturali della Chiesa, tracciò il progetto iconografico pensato per il duomo di San Nicolò, il più grande edificio barocco della città, crollato nel marzo 1996 e restituito ai fedeli il 18 giugno 2007. «Il progetto, a meno di un anno dalla riapertura del portone in bronzo, fu approvato dalla commissione per il completamento degli arredi presieduta da Luciano Marchetti, vicecommissario per la tutela dei Beni culturali, e della quale faceva parte - insieme ad altri sei saggi - anche monsignor Chenis, venuto a mancare tre anni fa», ricorda oggi don Bellomia. Quel complesso progetto iconografico per buona parte è stato realizzato; tuttavia, molto all’interno della Cattedrale, divenuta Basilica nel gennaio dello scorso anno, è nel frattempo cambiato. In meglio, in peggio? Don Bellomia svela i particolari che hanno accompagnato la fase dei lavori legata all’apparato decorativo. Una vicenda che prende le mosse dal progetto Chenis (fu l’alto prelato a volere il pittore russo Oleg Supereco, autore degli affreschi dei pennacchi e della cupola) per arrivare a quello odierno, che il parroco, con disappunto, ritiene essere stato fortemente manomesso rispetto alle intenzioni originarie. Don Bellomia ricorda alcuni rilievi dello stesso Chenis: «L’iconografia della Cattedrale va pensata nella sua complessità, mettendo le varie parti in sinergia linguistica, storica e funzionale. Gli artisti devono immedesimarsi nello spazio e mentalizzarsi nella liturgia: l’inserimento non contestuale di un’opera costituisce una sorta di cancro che, minando l’organicità iconografica, smentisce la comunione sacramentale». Eppure, prosegue don Bellomia, «da come procedono gli interventi, è chiaro che i criteri proposti sono stati disattesi. Oggi risalta agli occhi di tutti che le statue in gesso collocate al posto della Via Crucis sono un doppione dei personaggi affrescati sulla cupola». E ancora, continua nella rassegna delle disorganicità, «per quanto consentono di vedere i ponteggi, sul catino absidale sono stati usati dei colori come il verde e il celestino, adatti forse per una chiesetta di campagna, ma non certo per la Cattedrale di Noto». A don Bellomia, che ha apprezzato i lavori di Supereco, non è andata giù l’esclusione dell’artista per i successivi interventi: «Una vicenda poco chiara. Secondo alcuni, la ragione per cui l’affresco del Pantocratore non è stato affidato a Supereco sarebbe di natura economica. Ma sul costo si sarebbe potuto discutere: viene piuttosto da pensare che l’estromissione di colui che ha affrescato una cupola universalmente ammirata siano altri. Forse non è stato accettato perché non sottomesso? Eppure – il prete si affida ai ricordi storici -, se papa Giulio II non fosse stato capace di sopportare Michelangelo avremmo oggi la Cappella Sistina? La morte di Chenis è stata una vera disgrazia per la Cattedrale», prosegue con sconforto. «Dopo la sua morte, mi è stato invece suggerito di evitare di ricordarne il nome davanti agli altri saggi, di fronte ai quali, invece, è stato Vittorio Sgarbi a sbottare che, con tutto il rispetto per i morti, Chenis non capiva nulla. Dico questo con tanta amarezza nel cuore, ma non posso tacere fatti che hanno un impatto grave sul completamento della Cattedrale», chiosa don Bellomia.
Dalla Sovrintendenza si conferma che «le decisioni sono state assunte collegialmente dai saggi. Non è quindi nostro compito sindacare sulla qualità degli interventi artistici. Valutiamo la regolarità delle procedure». A replicare alle forti parole del parroco è l’ingegner Antonio Castiglione, dal 2001 responsabile unico del procedimento della ricostruzione, che insiste sulla collegialità dell’organo di esperti responsabile dei lavori di finitura. «L’ordinanza di protezione civile ha rimesso la definizione delle decorazioni a una intera commissione composta da sette saggi, tra cui Chenis, il quale – evidenzia il rup – non aveva l’incarico di decidere per tutti. La commissione, durante i lavori, a partire da quella traccia originaria, ha apportato all’unanimità modifiche e integrazioni al progetto. Insomma, tutto mi sembra legittimo».

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