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Scoppia la faida delle «carte da morto» ad Augusta, 3 indagati per tentata estorsione

La denuncia dei titolari di un’agenzia di pompe funebri ha fatto scattare l’intervento delle forze dell’ordine

AUGUSTA. Una "faida" scoppiata per un manifesto funerario affisso da un'agenzia ma coperto anzitempo da un'altra impresa di pompe funebri, che così ha fatto posto all' annuncio relativo alla morte di una persona diversa, è sfociata in tre arresti con l'accusa di tentata estorsione. Tra le persone finite nel mirino dei carabinieri figura il figlio di Giuseppe Musumeci, detto "Mezzochilo", noto pregiudicato di Augusta, imputato per estorsione e associazione mafiosa nel processo "Morsa" in corso di celebrazione in tribunale, morto qualche giorno fa in seguito ad una grave malattia all'ospedale di Lentini. Agli arresti domiciliari sono finitigli augustani Francesco Barravecchio, 35 anni, la moglie Rosa De Luca, 36 anni, e Cristian Musumeci, 22 anni, tutti assistiti dall'avvocato Puccio Forestiere. Secondo la ricostruzione tracciata dalla magistratura, i tre avrebbero rivolto minacce sia di ritorsioni personali che di gravi danni all'esercizio commerciale ai titolari di un'agenzia di pompe funebri per indurli a consegnare una somma di 500 euro. Le minacce sarebbero state rivolte "di persona" presentandosi nel locale in tre e pretendendo l'esborso della somma di denaro, secondo gli investigatori, a titolo di estorsione.. "Siete cadaveri viventi", avrebbero detto i tre alle vittime nel tentativo di indurli a piegarsi alle loro richieste. I titolari del negozio non si sono fatti intimorire ed al rifiuto opposto alla richiesta estorsiva hanno fatto seguire una denuncia che è stata sporta ai carabinieri. I militari dell'Arma sono entrati in azione il 20 luglio scorso arrestando i tre in flagranza. Gli indagati sono comparsi ieri mattina davanti al gip del tribunale di Siracusa Alessandra Gigli che ha convalidato il provvedimento restrittivo. Il giudice ha confermato la misura degli arresti domiciliari unicamente per Francesco Barravecchio mentre ha scarcerato gli altri due imponendo ad essi la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalle vittime. Nel corso del rituale interrogatorio di garanzia gli indagati hanno fornito una versione a propria discolpa respingendo l'accusa di estorsione e sostenendo di non avere preteso indebitamente alcuna somma di denaro. Gli indagati hanno ammesso di avere avuto più di un diverbio con le presunte parti offese per avere queste ultime, rispettivamente madre e figlio, coperto il manifesto che annuncia la morte di Giuseppe Musumeci che era stato affisso da un'altra agenzia due giorni prima.

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